lunedì 12 agosto 2013

Ritratto di Riccardo Muti

Ieri su la Repubblica un grande ritratto di Riccardo Mannelli
e l'intervista di Antonio Gnoli
a
Riccardo Muti, il grande direttore d'orchestra italiano.
“Ho avuto fortuna, ma non sono nato con il papillon e la musica ha tolto molto tempo ai miei affetti”




11/08/2013
Riccardo Muti
 Ho avuto fortuna ma non sono nato con il papillon

di ANTONIO GNOLI

Straparlando Riccardo Muti "Ho avuto fortuna ma non sono nato con il papillon" oltre ad essere il grande musicista amato in tutto il mondo- dirige la Chicago Symphony Orchestra ed è direttore onorario del Teatro dell' Opera di Roma - Riccardo Muti è un uomo molto spiritoso. Me ne accorgo assistendo a una sua lezione dedicata al Nabucco, davanti a una vasta platea di studenti sotto gli affreschi "africani" del Teatro dell' Opera. E se ripenso agli anni penosi di questa istituzione, che divenne e restò per lungo tempo uno degli esempi della decadenza italiana, mi pare un miracolo ciò che Muti ha realizzato.E dovete immaginare quest' uomo che in uno stile informale intrattiene il suo pubblico per più di due ore. Senza annoiarlo, senza deprimerlo.
 Davvero sorprendente.O quanto meno insolito. Come il taglio sottile dei suoi occhi che verrebbe da definire circasso se non fosse che è nato a Napoli.
«Certo, sono nato a Napoli ma a 14 giorni con i miei ci trasferimmo in Puglia, a Molfetta. Entrambi i luoghi sono incisi sulla mia pelle, come tatuaggi».
Come qualcosa che non si può cancellare?
«Non si può togliere la nostalgia e i ricordi ad essa legati. Sento ancora i profumi della mia terra, dove ho vissuto fino a 17 anni. Le stagioni che passavano le avvertivo dagli odori della natura. Il Natale mi si annunciava non con le luci o il presepe ma con il profumo delle arance. Mi chiedo se sono stato privilegiato in questo, se la mia generazione ha goduto di qualcosa di irripetibile. Nelle mie lezioni ai giovani mi pongo sempre questo problema: come trasmettere certe cose, come parlare di musica, a loro che sono lontani dalla mia stagione, dal mio tempo? Ecco il bisogno di sdrammatizzare e di uscire da certi toni retorici».
Sorprende un po' in un direttore d' orchestra il desiderio di alleggerire.
«Fa parte delle mie due nature: seriosa e leggera. Da una parte, quella pugliese, ponderosa e greve; dall'altra, quella napoletana, solare e scherzosa. E poi, le confesso, che è sempre spiccata in me la tendenza a smitizzare ciò che faccio.A volte mi capita di affermare una cosa molto seria e subito dopo svuotarla di importanza».
Forse è un bisogno di non prendersi troppo sul serio?
«Forse, ma le dirò che non ho piacere a indagare nelle profondità dell' animo umano, soprattutto il mio».
Un' identità precisa però ce la fornisce il suo lavoro. Chi è un direttore d' orchestra?
«È un signore che esercita una delle ultime nobili professioni in cui un singolo mette d' accordo un insieme di persone».
Occorrono virtù carismatiche?
«Direi di sì. L' orchestra è un piccolo collettivo dall' istinto sovrumano. Si accorge immediatamente delle qualità di un direttore, già dal modo in cui sale sul podio. Un direttore deve sapere cosa vuole ottenere. E l' orchestra percepisce se egli va per tentativi o possiede esattamente ciò che intende trasmettere».
Si è spesso associato il direttore di orchestra a una figura dittatoriale. È un' immagine che sopravvive?
«Fortunatamente non esiste più il direttore tiranno che con gesto imperioso allontanava l' orchestrale di turno. D' altra parte, non si può neanche pensare a una direzione collegiale».
Chi sono stati i direttori che hanno rivoluzionato il mondo della musica? 
«È difficile fornire un elenco».
Le lancio un nome facile: Toscanini?
 «Grande, anche se non mi ritengo un toscaniniano. Però il mio insegnante fu assistente di Toscanini. Di lui ammiro il rigore e la severità. Ho amato Furtwängler per quel senso di improvvisazione che imprimeva all'esecuzione. Nel momento in cui eseguiva dava la sensazione di stare creando. E poi Bruno Walter. Figure che non si discutono».
Il più controverso è stato Karajan.
 «È stato soprattutto un innovatore. Con lui si è arrivati alla scoperta di un culto del suono che prima non esisteva».
Forse anche un culto della personalità.
«Sapeva amministrare perfettamente la sua immagine. Ma il primo fu Toscanini. Bastava vedere come vestisse già durante le prove. E poi capì immediatamente l' importanza di un mezzo come la radio».  
Che cosa è il cantante per un direttore?
«Per un artista la voce è lo strumento più immediato ed esaltante. Un direttore deve scoprirne il segreto. Ma anche accettarne la memoria. Ero agli inizi della carriera quando ebbi la fortuna di lavorare con Maureen Forrester, interprete strepitosa dei Lieder di Mahler. Aveva cantato con Bruno Waltere portò a me gli echi di quella esperienza storica».  
Si dice che tra quelle femminili la più grande voce fu la Callas.
«Non farei classifiche. Fu straordinaria in mano a certi direttori. E in un periodo di approssimazione, si parla degli anni Cinquanta, diede al canto e all' arte scenica una disciplina sconosciuta. Non ho mai lavorato con lei. Ma una sera mi telefonò. Ero a Philadelphia. Avevo parlato di lei a un amico, confessandogli che mi sarebbe piaciuto dirigerla. Mi disse che era bello che avessi pensato a lei. Ma aggiunse che era troppo tardi».  
Cos' è il tramonto di un artista?
«Non per tutti è uguale. Alcuni non si rassegnano al tempo che passa. Lo vivono come un affronto, un' offesa. La cosa peggiore che può accadere è di non avere una confidenza ironica con la vita. Occorre saggezza, modestia e una certa disinvoltura per non lasciarsi travolgere dal ricordo di ciò che si è stati e non si è più».  
I ricordi continuano ad affascinarla?
«Mi forniscono la misura della nostalgia, che è una cosa diversa dal rimpianto. La nostalgia dà valore al passato, a ciò che si è fatto. Il rimpianto è la paura per un passato che non passa, che abbiamo mancato. Perciò rischia di trasformarsi in ossessione».
I suoi primi ricordi?
«Due, nitidi. Mio padre nell' ospedale militare, era il 1945, con il camice bianco da medico che curava i soldati tornati dal fronte; l' altro è la prima visione che ho avuto del Castel del Monte. Ricordo che con tutta la famiglia partimmo in carrozza da Molfetta. Arrivammo all' alba e mi apparve il Castello in tutta la sua imponenza. Quell' immagine si è sovrapposta come una seconda pelle. E mi piace pensare che sia l' ombra di Federico II».  
Sono ricordi molto seri. Come è stata la sua infanzia?
«Severa e meravigliosa. C' era la guerra, ma c' erano anche gli occhi di un bambino che guardavano con incanto alla sua terra. Giocavo con i miei coetanei, con i miei fratelli. Ero affascinato dalle feste del Sud, in cui sacro e profano si mescolavano. Come pure ero attratto dalla banda che a volte evocava melodie mediorientali. Incombevano la morte e la vita; la gioia e la tristezza. Quel mondo mi ha dato il vantaggio di guardare all' esistenza non con superiorità ma con distacco». 
Perché?
«Provenire da una terra solida e antica, piena di valori, forgia come nessuna altra metropoli può fare. Niente può gareggiare con l' immagine che conservo, neppure i grattacieli di Manhattan».  
Dei suoi fratelli è il solo a essersi occupato professionalmente di musica?
«Sì, ed è stato casuale. Grazie forse agli incontri che si hanno nella vita. Uno di questi fu con Nino Rota. Quando mi presentai a Bari per l' esame di pianoforte, per me era un modo di completare i miei studi, mi sentì suonare e disse che avevo le qualità per diventare musicista. A quel punto, dopo un consiglio di famiglia molto sofferto, i miei decisero che avrei potuto frequentare il conservatorio».  
Che ricordo ha di Rota?
«Aveva studiato con grandi maestri e aiutato Toscanini, che stimava molto questo giovane talento. Era un uomo celestiale, di una bontà estrema. E un musicista pieno di fascino. Ho inciso diverse sue composizioni».  
Lei poteva intraprendere una carriera di solista, perché è finito a dirigere?
«Il pianoforte fu una decisione dall'alto. Lo studiai a Napoli con Vincenzo Vitale, uno dei grandi maestri della scuola napoletana. E anche se ero un ottimo pianista non è che ci credessi più di tanto. Poi, un giorno fui convocato dal direttore del conservatorio che mi disse: hai mai pensato di dirigere? Restai perplesso. E lui fissandomi negli occhi: credo che tu abbia le qualità per fare il direttore d' orchestra». 
E lei?
«Restai un po' stupito. Poi accadde tutto in modo naturale. Quando cominciai a muovere il braccio sentii dopo pochi secondi che quello sarebbe stato il mio destino. Era una condizione magica: da un gesto semplice scaturivano i suoni. Provai una sensazione strana, insieme di esaltazione e smarrimento».  
Se non si fosse occupato di musica?
«Probabilmente sarei stato un mediocre avvocato».  
Quindi è un uomo fortunato?
«Chi non lo sarebbe al mio posto. Però non sono cresciuto con il papillon. I miei genitori non mi dicevano: Riccardo sei un genio. Le mie conquiste le ho realizzate giorno per giorno, con fatica e determinazione.E poi, le confesso, la musica mi ha tolto tante altre cose».  
Cosa esattamente?
«Potrei dirle la vita, ma sarebbe enfatico. E perfino ingiusto. Però nello spettacolo in cui siamo immersi ed esposti finiamo col perdere la nostra semplicità. E ho sperimentato che fare seriamente una simile professione toglie tempo agli affetti. Ho visto crescere bene i miei figli, ma spesso ero distante da loro».  
Prova sensi di colpa?
«A volte sì. Poi, ringrazio Dio di avermi messo su una strada dove potevo mostrare le mie qualità. Vede? Da un lato c' è il rimorso, dall' altro la convinzione che non poteva che andare così». 
Cos' è il talento?
«Verdi diceva: lavoro, lavoro, lavoro».
 Non basta, lo sa.
«Avere idee forti e il coraggio di portarle avanti a dispetto delle convenzioni e dei conformismi. In ogni grandissimo talento c' è il momento della trascendenza».  
Crede in Dio?
«Credo in un Dio unico, possiamo anche dargli nomi diversi, assoggettarlo alle nostre necessità o abitudini, ma c' è un solo creatore. Non si può dirigere il Requiem di Verdi o la Messa in si minore di Bach senza avvertire il fascino di una presenza divina. Grandezza spirituale e abisso, questa è la musica».  
A proposito di abisso, mi incuriosiva la sua affermazione che è meglio non guardarsi troppo nel profondo.
«È una forma di difesa. Molte volte è preferibile non chiedersi tante cose, non aprire certe porte».  
Ma per un artista non è fondamentale aprire le porte più rischiose?
«È una visione romantica. Comunque anch' io ne ho aperte. Però c' è un istinto razionale che mi spinge alla cautela. Mi pare fosse Kant, in una celebre pagina della Critica della Ragion Pura, a mettere in guardia dall' ignoto».  
Il giorno in cui smettesse la sua professione, cosa farebbe?
  «Bella domanda. A volte mi sento un outsider dell' arte che è finito sul palcoscenico per una serie di circostanze favorevoli. Ma spente le luci bisogna avere il coraggio di uscire dal gioco. Credo che tornerei all' immagine di Castel del Monte. Proprio lì davanti ho comprato un terreno dove mi piacerebbe andare a vivere».
È come un ritorno all' infanzia?
 «In un certo senso. Ma quando accadrà e quanto tempo dedicherò a questa nuova forma di vita non lo so».
 Il Castello è un' interessante metafora, un' opportunità letteraria.
 «Non è il Castello di Kafka, minaccioso, terribile, enigmatico. Quello di Federico II fu creato non per difesa ma per la mente, è un libro misterioso scritto con la pietra. Trasmette un' idea di una perfezione che ogni uomo dovrebbe cercare».  
E lei l' ha trovata? «A volte mi sono illuso. È una necessità che ci portiamo dentro. Come un mare infinito nel quale a volte con timore o esaltazione ci bagniamo».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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domenica 11 agosto 2013

Le lacrime ... Berlusconi ha pianto.

4agosto 2013
Roma. ore 18 Manifestazione dei pidiellini in Piazza del Plebiscito non autorizzata.
Il presidente del Pdl, Silvio Berlusconi, dopo aver salutato i suoi fan in via del Plebiscito ha fatto rientro a Palazzo Grazioli da un ingresso laterale. Il Cavaliere era in lacrime, visibilmente commosso, dopo il suo intervento dal palco della manifestazione.

le foto
la notizia

e

le vignette:



- ...Berlusconi ha pianto
- Lacrime di caimano
PORTOS / Franco Portinari
Etichette: Berlusconi condannato, Berlusconi ha pianto, Caimano, Realitisciò


era Stato lui
Riccardo Mannelli



Lacrime di Silvio
Tiziano Riverso


SERGIO STAINO

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sabato 10 agosto 2013

Blocchiamo il reality show della RAI "The Mission"

Firma anche tu per bloccare questa Tv spazzatura!





- Albano difende The Mission dalle proteste
- Il tam-tam della sua partecipazione è già arrivato ai profughi?
PORTOS / Franco Portinari



Change.org
Ciao,
La RAI sta producendo un nuovo show-reality, “The Mission”, nei campi rifugiati in Sud Sudan, nella Repubblica Democratica del Congo e in Mali. Per l’occasione porterà sul posto alcuni “VIP” tra cui Emanuele Filiberto, Al Bano, Paola Barale, Michele Cucuzza, Barbara De Rossi. 
Credo sia vergognoso ideare un’operazione che metta in scena uno spettacolo grottesco e umiliante come quello di vedere raccontata la sofferenza umana dei rifugiati da personaggi estremamente discutibili e che probabilmente mai l’avrebbero fatto se non avessero visto un’immediata convenienza in termini di immagine e commerciale.
Mi chiamo Andrea Casale, ho 25 anni e sono uno studente della Facoltà di  Farmacia dell’Università di Parma. Ho lanciato questa petizione perché appena ho sentito la notizia della produzione di “The Mission” ho provato un senso di indignazione verso la spettacolarizzazione di tragedie umane come quelle dei rifugiati.
Fareste raccontare la sofferenza dei vostri figli da Emanuele Filiberto e Paola Barale? Accettereste di vedere vostra madre, sopravvissuta a violenze inaudite, scimmiottata come comparsa di un reality show?
E poi alcune domande che vorrei rivolgere sia alla RAI sia alle organizzazioni partner di questo progetto:
- I vari VIP parteciperanno senza prendere un gettone di partecipazioneda parte della RAI? 
- Quanto spenderà la RAI per questo reality, sul campo e in studio, e quanto prevede di incassare con la vendita degli spazi pubblicitari durante le due puntate? A chi andranno quei soldi?
- I VIP partrecipanti hanno chiuso accordi o prevedono di farlo per ‘vendere’ servizi sulla loro esperienza ‘umanitaria’ a qualche settimanale o altra trasmissione televisiva? Se sì quanto incasseranno?
Grazie,
Andrea Casale via Change.org*


Per saperne di più:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/08/06/the-mission-strano-senso-umanitario-della-rai/678024/
http://www.lastampa.it/2013/08/05/spettacoli/gi-polemica-sul-reality-rai-con-i-vip-nei-campi-profughi-.html

Dagli Antipodi: le tavole di David Rowe, Gheddafi (2)

Le tavole di David Rowe che ho scelto per la seconda puntata hanno un soggetto unico, Mu'ammar Gheddafi.
Sono state disegnate nel 2011 dopo la decisione dell'Onu di intervenire in difesa delle popolazioni civili contro le violenze del governo libico.
L'intervento militare in Libia del 2011 è iniziato il 19 marzo ad opera di alcuni paesi aderenti all'Organizzazione delle Nazioni Unite autorizzati dalla risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza che, nel marzo dello stesso anno, ha istituito una zona d'interdizione al volo sul Paese nordafricano ufficialmente per tutelare l'incolumità della popolazione civile dai combattimenti tra le forze lealiste a Mu'ammar Gheddafi e le forze ribelli nell'ambito della guerra civile libica.
Ed è terminato nell'ottobre 2011 in seguito alla morte del Ra'is. Conseguentemente, la NATO ha cessato ogni operazione il 31 ottobre.

























 (2; continua)
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Difficile scegliere un titolo per questa nuova rubrica con cui prossimamente e saltuariamente vi farò conoscere qualche disegno di questo grande artista  australiano David Rowe.
 Amico grazie ai social network, David riesce a stupirmi con ogni suo disegno, anche quelli sulla politica locale dell'Australia  di cui magari non capisco neppure l'argomento ed i personaggi.
 Disegni colti eruditi che non ci si stanca di ammirare.
Qui sul blog condividerò i suoi grandi ritratti, le caricature, la satira internazionale.
Dagli Antipodi: le tavole di David Rowe(1)

mercoledì 7 agosto 2013

LUCIANA ZUCCHELLI




LUCIANA ZUCCHELLI
MOSTRA PERSONALE 
DI PITTURA
POESIE di Manuela Copercini

11 - 17 Agosto 2013
Berceto
Municipio - Sala del Consiglio Comunale
ORARIO: 16.30 - 20.30



Vivo

Vivo fra le stelle
fra le nuvole
nel cielo
fra le onde del mare burrascoso
per poi tornare calmo
nella sua silenziosa solitudine.
Vivo fra gli alberi grigi dell’autunno
per poi fiorire
ella dolce primavera dai tenui e corposi
raggi del sole di meridione.
Vivo fra gli intimi impulsi
in loro mi ristoro
dove il laggiù diventa qui
e la bontà decantata
da un sanguigno e corposo vino
anela al conforto svanito.
Vivo nella massima apertura dei mei sensi
fra gli spontanei germogli del mio cuore
gettando le sciocche vanità
nel nero degli abissi.
Vivo nel cosmo
e poi in un nido nascosto nell’antica grotta
al riparo dall’uragano
che si specchia sul mondo.
Vivo nella danza disincantata di chi
dorme sui suoi peccati
che solo io udisco
nell’ampiezza della visione.
Vivo nel sogno
nuoto in lui
arrampico le sue pareti
sfido i suoi occhi…
con i miei…



LUCIANA ZUCCHELLI
Prima mostra personale nel 2010 a Berceto,
varie mostre collettive a Fidenza presso il
Palazzo delle Orsoline,
Festival delle psicoanalisi Fidenza 2012,
teatro al vicolo di Parma 2012,
Festa della donna Fidenza
al Teatro Magnani 2013.









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Felice connubio tra la mostra antologica di Luciana Zucchelli e le poesie di Manuela Copercini.
L'artista dipinge prevalentemente donne, facendo parte di un associazione per le donne affronta il tema della violenza, ma anche delle religioni, e possibili scenari urbani apocalittici ...niente paura... solo un po inquietanti!! il tutto con acrilico su tela e materiale di recupero.
Da non perdere.

Blogfest Rimini 2013


 Grande festa dei Blog a Rimini

 il 20 21 22 settembre

 "Macchianera Awards 2013"

Nessuna giuria

Solo voto popolare 

sarai tu a far vincere il tuo blog preferito

La scelta viene fatta in due fasi.
Vi ricordiamo che è possibile esprimere una candidatura fino a giovedì 15 agosto 2013. Poi succederà questo: in base alle vostre segnalazioni verranno proposti dieci candidati per ogni categoria, e a quel punto potrete rivotare e contribuire a scegliere il vincitore.
Si vince per suffragio popolare: una volta scelti i cinque candidati tutti potranno votare il proprio preferito; il voto degli utenti (al netto degli immancabili brogli, quindi: nun ce provate) non sarà “corretto” da nessuna giuria.
Le votazioni per la seconda fase partiranno venerdì 16 agosto 2013 e si concluderanno giovedì 19 settembre 2013, due giorni prima della cerimonia di premiazione che avrà luogo nel corso della BlogFest, a Rimini, nella serata di sabato.

Il manifesto è opera di Roberto Grassilli
.


PS:
C'è tempo fino al 15 agosto 2013 per esprimere le candidature ai "Macchianera Awards 2013".
Se ti piace FANY-BLOG  votalo nelle seguenti categorie:


 1. Miglior sito 2013:
http://fany-blog.blogspot.it/

4. Miglior articolo o post dell'anno:
http://fany-blog.blogspot.it/2013/02/lautogol-di-giannino.html


7. Miglior sito di satira:
http://fany-blog.blogspot.it/

Non mi avete votato... pazienza passiamo alla

Seconda FASE
votate entro il 19 Settembre


Ritratto di Lina Wertmuller

Ieri su Repubblica uno splendido ritratto di Riccardo Mannelli ed una bella intervista-testimonianza
di Antonio Gnoli

a Lina Wertmuller, famosa regista italiana.






Lina Wertmuller: Sono una donna piena di eccessi
di ANTONIO GNOLI

Lina Wertmuller: " Sono una donna piena di eccessi" vogliata, capricciosa, inversa. Sdraiata su un divano - che Freud avrebbe guardato con la stessa curiosità con cui studiava i suoi nevrotici - Lina Wertmüller mi riceve nella sua casa romana. Dice di non avere troppo tempo da dedicarmi. Sollecita la lettura di articoli su di lei, biografie, monumenti. E la prima cosa che penso è che chi mi sta di fronte sia una persona insopportabile. Non un' egocentrica, come pure capita di incontrare e neppure una provocatrice pronta a stoppare l' ennesimo seccatore di turno. Ma una cui non frega più niente di niente. È lì stesa sui cuscini con i suoi inconfondibili occhialini bianchi a dirci - tra i silenzi e i colpi di tosse - che la vita ha compiuto il suo giro completo. Poi penso che a 85 anni Lina Wertmüller ha tutto il diritto di mandarmi al diavolo e che in fondo sotto quell' apparente svagatezza si cela la donna intelligente, provocatoria, e perfino fragile che ci ha regalato alcuni dei più bei film della storia italiana, a cominciare da quell' esordio I basilischi che la impose a livello internazionale.
Che ricordo ne ha?
«Ma io non voglio ricordare. Sono stanca. Dormo poco. Ho sempre dormito poco. Tre o quattro ore per notte. Un tempo mi bastavano. Per fare tutto quello che facevo».
E ora? «Ora che?».
Cosa fa, la notte, quando è sveglia? «Vedo film, mi rincoglionisco di cinema. La notte, il giorno, il pomeriggio. In questo momento è la mia occupazione principale: condannata a vedere».
 Le piacerà anche. «Ci sono film che non invecchiano. Solitamente quelli in bianco e nero. Mi farebbe un favore?».
Se posso. «Non mi faccia più domande».
Perché ha accettato che venissi? «Forse perché ci illudiamo di essere dei punti di riferimento nel mondo reale».
Per alcune persone lo siamo, per altre forse lo diventeremo. «In un certo senso è vero. Se ci va bene diamo e riceviamo orientamento. Vuole un bilancio della mia vita? Credo di essere stata una donna molto fortunata».
E il cinema c' entra con questa fortuna? «Non potrei negarlo. Alti e bassi: è la legge dello spettacolo».
Più alti, direi. «Vuole compiacermi?».
Ma no, è un fatto. Proprio a cominciare da quell' esordio. Che anno era? «Ci risiamo. Vabbè, era il 1961. Scelsi di raccontare una storia del Sud, un pezzo delle mie radici. Avvenne tutto in maniera molto casuale. Ero andata con Tullio Kezich a trovare Francesco Rosi sul set di Salvatore Giuliano. Mi venne la curiosità di visitare il paese di origine di mio padre che non era molto lontano: Palazzo San Gervaso, una gloriosa cittadina della Basilicata. E guardando la vita arcaica e velleitaria dei suoi abitanti, sentendoli parlare come se al mondo non esistesse che quel paese, pensai che quella storia valeva la pena di raccontarla. Scrissi la sceneggiatura e realizzai il film. Kezich, che aveva caldeggiato e seguito tutte le fasi, riuscì a farlo entrare in concorso al festival di Locarno, dove vinse. Era il 1963».
Aveva già avuto esperienze con il cinema? «Frequentavo Federico Fellini. Lo conobbi attraverso la mia amica Flora Carabella, una donna dotata di un fascino unico, che avrebbe in seguito sposato Marcello Mastroianni. Fellini dava l' impressione di interessarsi a te, quando in realtà era solo lui il centro dell' attenzione. Comunque, gli divenni amica. Lo accompagnai perfino alla prima londinese della Dolce vita e lo aiutai nel casting di Otto ½. Tra l' altro, fu proprio grazie alla troupe di Otto ½ che potei realizzare I basilischi. In ogni caso, più che il cinema fu il teatro la mia passione d' esordio».
E come si realizzò quella passione? «Fu grazie a Flora, che si era iscritta all' Accademia d' arte drammatica, che cominciai a frequentare l' ambiente. Ero troppo piccola per iscrivermi e alla fine scelsi la Libera accademia del teatro che era diretta da Pietro Scharoff, un allievo di Stanislavskij di cui insegnò il metodo. Finito l' apprendistato mi sentivo pronta a conquistare il palcoscenico. E feci una cosa abbastanza inusuale».
Cioè? «Mi rivolsi direttamente a un famoso regista teatrale, Guido Salvini. Suonai il campanello di casa e lui mi venne ad aprire in pigiama e morto di sonno. Mi disse che vuoi ragazzina? "Mi chiamo Lina Wertmüller e voglio fare l' aiuto regista". Avevo una faccia tosta incredibile. Fu così che ebbe inizio la mia avventura teatrale».
A parte Salvini chi l' aiutò? «Fu Andreina Pagnani, grandissima attrice, a prendermi sotto la sua protezione. Mi presentò Giorgio De Lullo che aveva creato la Compagnia dei Giovani con Romolo Valli, Rossella Falk, Anna Maria Guarnieri. Giorgio era un uomo bello e dotato di una grande sensibilità. Soffrì enormemente per la morte di Romolo Valli, avvenuta in un incidente automobilistico, al punto di ritirarsi per alcuni mesi in un convento. Poi, si lasciò travolgere dall' alcol. L' ultima volta che lo incontrai fu al caffè Rosati di Roma: lo vidi alle dieci del mattino con un enorme bicchiere di whisky in mano».
Cos' è l' autodistruzione? «Girare intorno al proprio abisso e poi finirci dentro. Bisognerebbe amare tutto quello che fa crescere e detestare ciò che ci fa regredire».
Come sono stati gli amori della sua vita? «Belli, strani, a volte divertenti. Ma per me uno solo fu fondamentale. E se non sentissi il senso del ridicolo, aggiungerei eterno, quello per mio marito: Enrico Job. Come si fa a raccontarlo?».
Cosa ha avuto di speciale? «Tutto. È stato un grande artista. Ai miei occhi il più grande. Era un uomo schivo che non accettava i compromessi. Deluso dal mondo foto dell' arte contemporanea, aveva preferito il teatro. Fu uno scenografo impareggiabile, innovativo. Ha ideato per me le cose più belle, anche quelle realizzate al cinema».
A proposito di cinema lei è stata la prima donna candidata a un Oscar per la regia. «Avvenne con Pasqualino Settebellezze, ebbe quattro nomination. New York impazzì per i miei film. Avevo messo d' accordo il pubblico, la critica e i registi. Pensi che Woody Allen, colpito dalla montatura dei miei occhiali bianchi, voleva farmi fare un cameo in Io e Annie. In quel periodo stavo girando un film. Perciò gli spedii un paio di occhiali simili a quelli che indossavo dicendogli che avrebbe potuto usare una controfigura. Non credo colse l' ironia. Quel piccolo ruolo fu poi interpretato da Marshall McLuhan. Perfino uno scrittore come Henry Miller, dopo aver visto Travolti da un insolito destino, disse che il film, per umorismo ed erotismo, gli ricordava Tropico del cancro ».
Uno che di sesso se ne intendeva. «A giudicare dai suoi romanzi e carteggi era un' autorità assoluta. Nel mio piccolo con il duo Giannini-Melato realizzai la coppia più erotica del cinema italiano. O quasi».
Quasi? «Beh, il grande De Sica aveva creato quella tra Sophia Loren e Marcello Mastroianni. Come si dice? Noblesse oblige ».
Si può coniugare erotismo e comicità? «Ma i miei film non sono mai stati comici. Non appartengo alla tradizione gloriosa della commedia all' italiana; e lo dico consapevole che da lì sono uscite opere straordinarie. No, i miei film sono grotteschi. Che è un' altra cosa».
Cosa l' attrae del grottesco? «Sono una donna piena di eccessi e forse il grottesco stilisticamente mi corrisponde. Amo deformare la realtà perché solo così riesco a raccontarla. Anche l' eros vi si intona meglio».
Sul grottesco viene da pensare a certi giudizi poco lusinghieri che Nanni Moretti espresse sul suo cinema. «Ah l' abominevole Moretti! Pensavo che le sue uscite contro di me in Io sono un autarchico, sotto forma per lo più di vomito, fossero solo spiritosi espedienti. In realtà era vero disprezzo. E lo capii quando al festival di Berlino provai a salutarlo e lui mi voltò le spalle. Credo, nonostante tutto il suo successo, che sia e resti un rosicone».
Cos' è il cinema? «È una baracconata quando lo fai. Ma poi accade il miracolo. E a volte diventa poesia».
E recitare? «Un dono misterioso e naturale che un bravo attore ha e gli altri non hanno».
In cosa consiste? «Ti fa credere in quello che fa. Alla base della grande recitazione c' è l' identificazione del pubblico. Ciascuno vuole essere lui o lei. È un' alchimia dei sentimenti».
Teme il pubblico? «Temo la sua imprevedibilità. Chaplin sosteneva che il pubblico è un mostro senza testa che non si sa mai da che parte si volterà. Anche in questo caso mi ritengo fortunata».
La fortuna è anche negli incontri che si fanno. «Dovrei fare una lista lunghissima. Ricordo con tenerezza Nino Rota, una presenza soave. Gli capitava di comporre suonando e dormendo al pianoforte. Visconti: esigente e aristocratico. Con Luchino negli ultimi tempi c' era spesso Helmut Berger. Circolava la storiella che questo giovane bellissimo gli fosse stato portato da un albergatore austriaco avvolto in un tappeto, come pagamento per un debito. Non facevano che insultarsi. Ricordo il salotto di Suso Cecchi d' Amico. Da lì è passato tutto il cinema italiano. Il solo che non andò mai era Fellini. Come salotto preferiva Roma».
È la città dove è nata? «Sì, in una palazzina rosa dietro piazza Cola di Rienzo. Da anni vivo invece sopra piazza del Popolo. Mi affaccio e capisco perché Roma è la città più erotica del mondo. In questo piccolo spazio si intrecciavano i destini di parecchi artisti, che spesso si vedevano la sera al ristorante l' Augustea: Alberto Moravia, Pier Paolo Pasolini, Laura Betti, Elsa Morante, la più grande scrittrice italiana del ' 900».
Glielo riconoscono in molti. «È vero. Le piacevano i cani, i gatti e i ragazzi vagabondi. Se li portava a casa e li accudiva».
Un artista deve essere diverso? «Deve con il suo linguaggio saper raccontare delle storie. Poi che sia diverso o no chi se ne frega. Io ne ho raccontate tante. E mi capita di dire: se domani non ci sarò più sappiate che mi alzerò da tavola come un commensale sazio».
E se le chiedono il conto? «Spero che non sia salato. Per ora si va avanti».
Avanti come? «Ho finito di scrivere una commedia per il teatro su Livia, la moglie dell' imperatore Augusto. Fu la donna che accompagnò il difficile passaggio dalla repubblica all' impero. Di solito sono figure che non vengono ricordate. Ed è un peccato perché avremmo molto da apprendere. Livia aveva due palle che non finiscono mai».
Sente di assomigliarle? «Non vedo imperi all' orizzonte. Però mi piacerebbe».
(La Repubblica)



martedì 6 agosto 2013

Concorso: Un brand per Firenze

Schizzo Preparatorio
Apicella

Serve un nuovo logo per Firenze, che rilanci la città, parola di Matteo Renzi e della sua amministrazione ed ecco così il concorso ... 15.000€ al vincitore.
Logo è troppo riduttivo, amici artisti, a Firenze serve un brand!!!

C'è tempo fino al 14 ottobre!





31/07/2013
Come trasformare Firenze in un desiderio
Via al concorso per inventare
un brand che dia un sapore nuovo alla città
francesco bonami

Matteo Renzi ha deciso di buttarsi in un’avventura forse più difficile della scalata a Palazzo Chigi, ovvero il «branding» della sua Firenze. Per questo ha pensato di lanciare online un concorso aperto ai creativi di ogni parte del pianeta anziché ai soliti guru del marketing, della pubblicità e della grafica. Chi sarà in grado di creare il nuovo «brand Firenze» vincerà 15.000 euro. Ma soprattutto avrà la soddisfazione di essere riuscito a dare un’immagine rinnovata a una delle città più famose ma anche più difficili al mondo. Suggerisco a ogni partecipante di registrare le proprie idee così che dopo, per il resto dei suoi giorni, il vincitore potrà avere una percentuale sui diritti di autore tutte le volte che il suo «I Fire», per esempio, sarà venduto su cartoline, magliette, cappellini e via di seguito.

Meglio però spiegare a chi non lo sa, e sono molti, cosa voglia dire inventarsi il «branding» di una città. Non significa semplicemente creare un logo, una griffe, un marchio. Bisogna inventarsi e trasformare una città in qualcosa di più di un semplice luogo.

Bisogna riuscire a far diventare la città un’idea, un desiderio, un oggetto da consumare e anche da comprare portandosi a casa un pezzettino di lei ogni volta che uno la visita. Non solo. «Branding» non vuol dire solo trovare un simbolo, ma anche costruire nella pratica opportunità e regole nuove per incentivare aziende, studenti, famiglie, imprenditori e turisti a venire in una città che è sempre esistita ma che ora ha tutto un sapore nuovo, nel caso di Firenze come direbbe il Pascoli «anche di antico». Chi pensa che a Bilbao sia bastato costruire il museo Guggenheim di Frank Gehry per dare un brand nuovo alla città, si sbaglia di grosso. Prima del museo la città basca ha messo in piedi un progetto di nuove infrastrutture gigantesco, da nuove linee di trasporto urbano alla riqualificazione di aree industriali. Il Guggenheim è stato soltanto la punta di diamante di una visione molto ambiziosa dei politici locali. L’ambizione di Renzi è sicuramente quella di far diventare Firenze una sorta di Grande Mela, New York in riva all’Arno.

E’ chiaro che non basterà un nuovo brand trovato grazie al contributo della Rete a risolvere i problemi di una città che ha una parte coperta di una patina gloriosa, quella del Rinascimento, e un’altra da uno spesso strato di polvere accumulatosi negli anni, parecchi, che sono passati dal tempo dei Medici a oggi. Ma l’iniziativa di Palazzo Vecchio è comunque un passo nella direzione giusta. New York, per la quale oggi tutti stravedono, agli inizi degli Anni 70 era data per morta, non proprio come Detroit ma quasi. L’Alitalia nel 1971 fece addirittura una pubblicità per spingere le nuove rotte su Boston e Washington che diceva: «Today New York City disappears», oggi New York City scompare. Firenze non è proprio in queste condizioni, anzi è amata e ammirata nel mondo più che mai. Ma come gran parte delle città d’arte e dei tesori culturali italiani, ha bisogno di lavorare sul look.

Il cammino, in questo campo, è lungo e complicato. Sempre per citare New York, solo nel 1977 la città iniziò a rialzare il capo. A quei tempi la rete non esisteva e quindi l’amministrazione pubblica si rivolse a un guru della grafica, Milton Glaser, che inventò il famoso slogan con il cuore «I (cuore) New York», I Love New York. Un branding cosi semplice e geniale che nessuno è mai stato in grado di superarlo in nessuna altra città del mondo. Ci riuscisse Firenze sarebbe un miracolo e glielo auguriamo tutti.

Amsterdam ha avuto la fortuna di avere all’inizio del suo nome «am», che sfruttando l’inglese - ormai lingua planetaria - è stato utilizzato per il branding «I (io) Am (sono) sterdam». Non so cosa voglia dire «sterdam», ma comunque pare abbia funzionato. «I Fire» - fire inteso come Fire-nze ma anche come fuoco - potrebbe funzionare. «Si fossi foco» lo cantava anche il poeta Cecco Angiolieri. Ma «I Fire» vuole anche dire «Io sparo» e forse non è il branding migliore. Andava bene per la Chicago degli Anni 20, non per la Firenze del 2020.

Matteo Renzi ha deciso di buttarsi in un’avventura forse più difficile della scalata a Palazzo Chigi, ovvero il «branding» della sua Firenze. Per questo ha pensato di lanciare online un concorso aperto ai creativi di ogni parte del pianeta anziché ai soliti di guru del marketing, della pubblicità e della grafica. Chi sarà in grado di creare il nuovo «brand Firenze» vincerà 15.000 euro. Ma soprattutto avrà la soddisfazione di essere riuscito a dare un’immagine rinnovata a una delle città più famose ma anche più difficili al mondo. Suggerisco a ogni partecipante di registrare le proprie idee così che dopo, per il resto dei suoi giorni, il vincitore potrà avere una percentuale sui diritti di autore tutte le volte che il suo «I Fire», per esempio, sarà venduto su cartoline, magliette, cappellini e via di seguito.

Meglio però spiegare a chi non lo sa, e sono molti, cosa voglia dire inventarsi il «branding» di una città. Non significa semplicemente creare un logo, una griffe, un marchio. Bisogna inventarsi e trasformare una città in qualcosa di più di un semplice luogo.

Bisogna riuscire a far diventare la città un’idea, un desiderio, un oggetto da consumare e anche da comprare portandosi a casa un pezzettino di lei ogni volta che uno la visita. Non solo. «Branding» non vuol dire solo trovare un simbolo, ma anche costruire nella pratica opportunità e regole nuove per incentivare aziende, studenti, famiglie, imprenditori e turisti a venire in una città che è sempre esistita ma che ora ha tutto un sapore nuovo, nel caso di Firenze come direbbe il Pascoli «anche di antico». Chi pensa che a Bilbao sia bastato costruire il museo Guggenheim di Frank Gehry per dare un brand nuovo alla città, si sbaglia di grosso. Prima del museo la città basca ha messo in piedi un progetto di nuove infrastrutture gigantesco, da nuove linee di trasporto urbano alla riqualificazione di aree industriali. Il Guggenheim è stato soltanto la punta di diamante di una visione molto ambiziosa dei politici locali. L’ambizione di Renzi è sicuramente quella di far diventare Firenze una sorta di Grande Mela, New York in riva all’Arno.

E’ chiaro che non basterà un nuovo brand trovato grazie al contributo della Rete a risolvere i problemi di una città che ha una parte coperta di una patina gloriosa, quella del Rinascimento, e un’altra da uno spesso strato di polvere accumulatosi negli anni, parecchi, che sono passati dal tempo dei Medici a oggi. Ma l’iniziativa di Palazzo Vecchio è comunque un passo nella direzione giusta. New York, per la quale oggi tutti stravedono, agli inizi degli Anni 70 era data per morta, non proprio come Detroit ma quasi. L’Alitalia nel 1971 fece addirittura una pubblicità per spingere le nuove rotte su Boston e Washington che diceva: «Today New York City disappears», oggi New York City scompare. Firenze non è proprio in queste condizioni, anzi è amata e ammirata nel mondo più che mai. Ma come gran parte delle città d’arte e dei tesori culturali italiani, ha bisogno di lavorare sul look.

Il cammino, in questo campo, è lungo e complicato. Sempre per citare New York, solo nel 1977 la città iniziò a rialzare il capo. A quei tempi la rete non esisteva e quindi l’amministrazione pubblica si rivolse a un guru della grafica, Milton Glaser, che inventò il famoso slogan con il cuore «I (cuore) New York», I Love New York. Un branding cosi semplice e geniale che nessuno è mai stato in grado di superarlo in nessuna altra città del mondo. Ci riuscisse Firenze sarebbe un miracolo e glielo auguriamo tutti.

Amsterdam ha avuto la fortuna di avere all’inizio del suo nome «am», che sfruttando l’inglese - ormai lingua planetaria - è stato utilizzato per il branding «I (io) Am (sono) sterdam». Non so cosa voglia dire «sterdam», ma comunque pare abbia funzionato. «I Fire» - fire inteso come Fire-nze ma anche come fuoco - potrebbe funzionare. «Si fossi foco» lo cantava anche il poeta Cecco Angiolieri. Ma «I Fire» vuole anche dire «Io sparo» e forse non è il branding migliore. Andava bene per la Chicago degli Anni 20, non per la Firenze del 2020.


Un brand per Firenze, via al concorso
Brand per Firenze -Concorso e regolamento

lunedì 5 agosto 2013

CartoonSea 2013: Ultima Goccia

 CartoonSea 2013: Ultima Goccia

Vincitori 2013

Grand Prix CartoonSEA
Marco Tonus

 Prix CartoonSEA
Andrea Foches
Filippo Ricca


Premi speciali
Angelo Campaner
Giacomo Cardelli
Lele Corvi
Marco Gavagnin
Giuseppe Marchi
Bruno Olivieri
Franco Origone
Agim Sulaj


Segnalazioni
Luigi Alfieri
Emanuele Benetti
Luca De Santis
Antonio Mele


Tema di quest'anno: l'acqua.
“Ultima goccia. Non c'è niente da ridere. L'acqua è una risorsa preziosa, tra spreco e risparmio, dispendio e salvaguardia, abbondanza e scarsità”.


Grand Prix CartoonSEA
Marco Tonus

© Marco Tonus - 'Riserva speciale'




Prix CartoonSEA
Andrea Foches


 Prix CartoonSEA
Filippo Ricca/Fricca

L'opera di Filippo Ricca è stato scelto come copertina del catalogo


Premi speciali
Angelo Campaner



Premio speciale
Giacomo Cardelli



Premio speciale
Lele Corvi



Premio speciale
Marco Gavagnin



Premio speciale
Giuseppe Marchi



Premio speciale
Bruno Olivieri - "Bicchier d'acqua"




Premio speciale
Franco Origone



Premio speciale
Agim Sulaj


*  *  *


Segnalazione
Luigi Alfieri



Segnalazione
Emanuele Benetti



Segnalazione
Luca De Santis



Segnalazione
Antonio Mele



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 Giuria 2013

Stefano Antonucci - cartoonist - Presidente
Massimo Bucchi - grafico, editorialista La Repubblica
Luciana Forlani - SEA Ecology Network Group
Giovanni Mattioli - pres. ASET spa
Marilena Nardi - cartoonist, illustratrice
Graziella Santinelli - dir. Scuola Comics sede Jesi
Oscardo Severi - SEA Ecology Network Group
Giovanni Sorcinelli 'Gióx' & Maurizio Minoggio - cartoonists, dir. artistici CartoonSEA e FanoFunny



(in piedi da sin) Maurizio Minoggio, Marilena Nardi, Oscardo Severi, Gióx, Stefano Antonucci, (seduti) Massimo Bucchi, Graziella Santinelli, Luciana Forlani

La commissione di Giuria nominata da SEA e FanoFunny Festival si è riunita sabato 15 giugno presso la sede SEA. Il giudizio della Giuria è insindacabile e inappellabile.


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Collaterale al concorso la mostra nazionale del vincitore dello scorso anno
Stefano Antonucci Personale d'autore
e la mostra internazionale estemporanea di alto livello di 40 famosi artisti stranieri
Due delle opere in mostra:

Angel Boligan



Reinoso Cristobal

Cartonsea giunto quest'anno alla quinta edizione, cresce ogni anno, coinvolgendo sempre di più la splendida cittadina di Fano(PU). Non più solo cartoon ma anche cinema e cabaret.
“La nostra soddisfazione – ha affermato il direttore creativo Giovanni Sorcinelli - è che CartoonSEA inizi a prendere la forma che avevamo pensato fin dall'inizio: un contenitore in cui declinare una serie di eventi nel comun denominatore della satira e dell’umorismo, di volta in volta sposando il tema dell'anno”
programma 2013

 PS: ringrazio i due direttori artistici Giovanni Sorcinelli 'Gióx' & Maurizio Minoggio che molto gentilmente mi hanno messo a disposizione le img dei vincitori.

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